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Domenica dei Santi Ortodossi d’Italia

Omelia per la seconda Domenica di Matteo
(Tutti i santi glorificati in Italia)

Letture:

Apostolos: Rm 2, 10-16
Evangelo: Mt 4, 18-23

ioannes2In Italia gli ortodossi sono una minoranza. Bisogna però anche dire che sono una minoranza significativa, attualmente sono la seconda confessione religiosa presente nel nostro Paese. Ciononostante molti italiani non hanno la minima idea di cosa sia la Chiesa Ortodossa.

Se dico che sono buddista tutti hanno una idea più o meno precisa di cosa sono.
Lo stesso se dico che sono un mussulmano.
Se invece dico “sono un cristiano ortodosso” in pochi capiscono. Ed è strano, perché in questa nostra terra la fede ortodossa ha avuto una storia importante. In questa seconda domenica dopo Pentecoste facciamo memoria dei santi locali, di tutti i santi cioè che sono stati glorificati da Dio in terra d’Italia.

San Pietro e San Paolo sono arrivati sin qui, e qui hanno trovato la loro fine terrena, qui hanno testimoniato la loro fede.
Abbiamo avuto martiri: Agata, Lucia, Parasceve, Anastasia, Alessandro, Agapito…
Abbiamo avuto monaci: Benedetto, i suoi discepoli Mauro e Placido, sua sorella Scolastica e tanti altri e tante altre.
Abbiamo avuto Padri: Ambrogio di Milano, Massimo di Torino, Eusebio di Vercelli, Cromazio di Aquileia… Per non parlare dei grandi Leone e Gregorio, Papi di Roma quando Roma era ancora ortodossa.
Potremmo scorrere una carta geografica di questo Paese e nominarne i santi da nord a sud. Scopriremmo che pochissime terre hanno dato alla Chiesa Ortodossa tanti santi quanti ne ha dati l’Italia. Solo la Grecia può dire di averne dati di più.

Non si tratta però di una festa “dei santi ortodossi italiani” (anche se spesso per semplificare diciamo così), ma di una festa dei “santi ortodossi glorificati in terra d’Italia”. Santi cioè che hanno testimoniato Dio in Italia. Anche se moltissimi sono effettivamente nati qui, altri sono venuti a volte da molto lontano. Pietro e Paolo non sono nati qui: il primo veniva dalla Galilea, l’altro dalla Cilicia. Colombano è venuto fin qui dall’Irlanda, altri sono giunti dalla Siria o dalla Grecia. E questo in modo del tutto analogo a tanti ortodossi che oggi vengono qui dalla Russia o dalla Romania.

I santi locali, come d’altronde tutti i santi, sono testimoni. Non sono però testimoni della loro terra: sono testimoni di Cristo nella terra in cui vivono: «Qui» ci ammonisce San Paolo «non c’è più Greco e Giudeo, circonciso e incirconciso, barbaro e Scita, servo e libero, ma Cristo è tutto e in tutti» (Col 3, 11). Parafrasando le parole dell’Apostolo oggi potremmo dire che qui non c’è italiano o russo, greco o romeno. Tutti hanno infatti lo stesso dovere di annunciare Cristo

Questa festa dei santi locali si pone quindi quasi a “corollario” della Festa di Tutti i Santi che si celebra la prima domenica dopo Pentecoste. Se è vero infatti che i santi non sono solo quelli i cui nomi vediamo nei calendari, bensì tutti coloro che credono in Cristo e si sforzano di aderire a lui nella fede della Chiesa, allora anche i santi d’Italia non sono soltanto quelli del calendario. I santi d’Italia sono coloro che qui in Italia, ora per nascita, ora per altri motivi, vivono la loro fede in Cristo e nella sua Sposa, la Chiesa. Se San Paolo fosse vivo e volesse scrivere una lettera alle comunità italiane, la comincerebbe indirizzandola “ai santi che sono in Italia” (come aveva fatto nella Lettera agli Efesini). Quindi quella di oggi è la nostra festa: “nostra” per chi in Italia è nato e per chi c’è venuto a vivere.

La Chiesa locale è una immagine viva della Chiesa universale. Allo stesso modo, i santi – quelli dentro il calendario e quelli fuori dal calendario – sono una immagine della santità della Chiesa. Possiamo giudicare lo stato di salute di una Chiesa locale (che può essere una Diocesi, una Metropolia o anche soltanto una Parrocchia) considerando se e come si rispecchia in essa la Chiesa universale.
Anche la Chiesa locale è chiamata ad essere una, poiché, come esiste un solo Dio, così deve esistere una sola Chiesa.
Anche la Chiesa locale è chiamata ad essere santa: anche noi, quindi, qui e ora, siamo chiamati a testimoniare Cristo.
Anche la Chiesa locale è chiamata ad essere veramente cattolica (sobornaja, soborniceasca), è chiamata cioè ad essere veramente “secondo il tutto”, a predicare soltanto “ciò che sempre, ciò che ovunque, ciò che da tutti è stato creduto”, secondo le parole di San Vincenzo di Lerins.
E, infine, anche la Chiesa locale è chiamata ad essere veramente apostolica, a confessare la fede degli apostoli e ad essere fondata in essa.

Quando si entra in una chiesa ortodossa, generalmente la prima cosa che si nota è l’icona del Santo titolare della chiesa, oppure l’icona del Santo del giorno o della festa in corso. Non si tratta dell’icona più bella, né della più preziosa o della più antica. Quella è semplicemente l’icona che ci fa da anticamera a tutte le altre: è come una porta. Anche quando si entra in chiesa si passa per una porta: è la porta di una chiesa qualsiasi; può essere la porta di una cattedrale o di una chiesina di campagna; può essere fatta di legno grezzo o finemente intarsiata. Se però noi avessimo occhi spirituali, passata quella porta noi non vedremmo né la Cattedrale né la chiesa di campagna. Vedremmo la Gerusalemme Celeste, perché questo è la Chiesa: la Chiesa è l’inizio del Regno di Dio. Così è per i santi che festeggiamo oggi: non sono più importanti, non sono migliori di altri, non importa che siano più antichi o più numerosi. Sono la nostra porta, qui e ora, alla Chiesa di Cristo.

(Omelia del 24 Giugno / 7 Luglio 2013)