25 Dicembre 2022 / 7 Gennaio 2023
LETTURE
Apostolos: Dalla Lettera di San Paolo ai Gàlati (4, 4-7)
Evangelo: Dal Santo Evangelo secondo Matteo (2, 1-12)
25 Dicembre 2022 / 7 Gennaio 2023
LETTURE
Apostolos: Dalla Lettera di San Paolo ai Gàlati (4, 4-7)
Evangelo: Dal Santo Evangelo secondo Matteo (2, 1-12)
Cristo è nato!
Oggi nasce da una donna, nasce sotto la Legge, colui che fu Autore della Legge.
E noi dobbiamo chiederci cosa significa questa Nascita per la nostra vita, per la vita di ognuno di noi. Perché per ognuno di noi vale oggi quello che accadde a Israele duemila anni fa.
“Venne nel suo”, ci dice l’Evangelista Giovanni, “e i suoi non lo riconobbero”. Non si trovò posto per lui nell’albergo e dovette nascere in una grotta e giacere tra un bue e un asino, poiché, come dice il profeta Isaia “il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone; ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende” (Isaia 1, 3)
Dovremmo chiederci: lo riconosciamo noi? Gli diamo alloggio?
Se la Nascita di Cristo è solo una memoria liturgica, allora Cristo è nato invano. Come, se fosse solo una memoria liturgica la Pasqua, Cristo sarebbe risorto invano. In realtà noi sappiamo che, così come, risorgendo dai morti, Cristo ha distrutto la morte per noi tutti (e non soltanto per sé), allo stesso modo il Signore, nascendo nella carne e assumendola in sé, ha santificato la carne di noi tutti e non soltanto la sua.
Dio si è incarnato per avvicinarci a Lui, si è fatto uomo perché l’uomo potesse farsi Dio.
Ecco dunque che noi oggi non celebriamo soltanto la memoria liturgica della Nascita di Cristo: noi celebriamo la volontà che Dio ha reso manifesta di riportarci a sé, noi che da Lui ci eravamo allontanati. Ritorna quindi la domanda: lo accogliamo noi?
Se Cristo è venuto nella carne per ricondurci a Dio, accoglierlo significa innanzitutto comprendere quanto siamo distanti da Dio e quanto avevamo bisogno di Lui per essere a Lui ricondotti. E non parliamo solo della condizione generale dell’umanità, ma della condizione di ognuno di noi. Ognuno di noi, infatti, è singolarmente lontano da Dio e bisognoso di essere ricondotto a Lui. Se diciamo che Dio, incarnandosi, ha santificato la carne di noi tutti, non vogliamo dire che abbia santificato l’umanità in generale. A Dio non interessano i concetti filosofici: Egli ha voluto e cercato la santificazione della carne di ognuno di noi.
Il Natale così è uno di quei momenti dell’anno in cui noi possiamo fermarci per un attimo a riflettere per stabilire quanti sforzi abbiamo fatto per accogliere Cristo in noi, e quanti sforzi restano ancora da fare. E, se siamo sinceri con noi stessi, scopriremo che pochi sono gli sono gli sforzi fatti, e tanti gli sforzi ancora da fare.
Un antico inno cristiano ci parla di questo mistero della nascita di Cristo:
“Il suo amore per me ha umiliato la sua grandezza.
Si è fatto simile a me perché io lo riceva,
Si è fatto simile a me perché di lui io mi rivesta.
Non ho paura di vederlo, perché Egli è per me misericordia.
Egli ha preso la mia natura perché così io lo comprenda,
il mio volto perché da lui non mi distolga.”
Se noi vogliamo che il Natale non sia soltanto una memoria liturgica inutile, allora dobbiamo diventare noi stessi Betlemme, dobbiamo diventare noi stessi la Grotta. E’ dentro di noi che il Signore deve nascere. “Mille volte nasca Gesù a Betlemme” scrisse un poeta, “Se non nasce in me, nasce invano”.
A Lui onore e gloria, ora e sempre e nei secoli dei secoli.
Amen.
(Omelia del 25 Dicembre 2016 / 7 Gennaio 2017)