Omelia per la Domenica del Giudizio universale
Letture
Apostolos: 1 Corinti 8, 8 – 9, 2
Evangelo: Matteo 25, 31-46
Nel nome del Padre, del Figlio e del Santo Spirito.
Siamo giunti alla terza domenica del Triodion, quella dell’Ultimo Giudizio, detta anche “Domenica di Carnevale” poiché è l’ultimo giorno in cui è ammesso mangiare carne, in attesa dell’inizio del digiuno quaresimale. In questa settimana infatti non ci sono giorni di digiuno ed è ammesso mangiare tutto, fuorché la carne.
Tutte e due le letture che la Chiesa proclama oggi ci ricordano però che non saremo giudicati per il nostro digiuno. E’ normale a questo punto che noi ci facciamo una domanda: perché la Chiesa ha istituito il digiuno della Grande Quaresima, se poi spende le prime quattro domeniche del Triodion per ricordarci che l’essenziale non è il digiuno? Non sarebbe stato meglio non istituirlo affatto? Ci sono diverse risposte a questa domanda.
La prima è semplice: noi siamo fatti di carne e spirito e dunque dobbiamo pregare con il corpo e con l’anima. Il digiuno è uno dei modi che abbiamo per pregare col corpo. Si potrebbe obiettare che è più importante pregare con l’anima e che quindi il digiuno sia secondario. Per certi versi è proprio quello che sembrano dire queste prime domeniche di questo tempo liturgico. Noi dobbiamo essere sempre attenti, però, a dare il giusto peso a tutto.
Proviamo a guardare la cosa da un punto di vista del tutto umano. Noi non abbiamo bisogno solo di nutrire il corpo, ma anche l’anima. Nutrimento del corpo è il cibo, nutrimento dell’anima sono (da un punto di vista umano) i libri, l’arte, la musica. Se nutro solo il mio corpo, diventerò una persona rozza e forse anche un po’ infelice. Se nutro solo la mia anima, il mio corpo deperirà. Anche da un punto di vista umano, poi, la cura del corpo e quella dell’anima devono andare di pari passo, perché la salute del corpo influenza quella dell’anima, e la salute dell’anima influenza quella del corpo.
Chiaramente, se anche il mondo riesce a capire una cosa del genere, tanto più dovremmo capirla noi. Eppure spesso non è così, ed è per questo che la Chiesa, prima di iniziare la Quaresima, ci ricorda queste cose. Noi abbiamo spesso due tentazioni opposte. La prima è quella di dare tanta importanza al digiuno da dimenticarci il resto. In questo caso noi rischiamo seriamente di cadere nel peccato del fariseo di cui abbiamo letto qualche domenica fa. La seconda è quella di considerare il digiuno tanto secondario da trascurarlo. Il risultato di questi due atteggiamenti è lo stesso: il corpo e l’anima deperiscono.
Una seconda risposta ce la suggerisce, indirettamente, la Lettura evangelica di oggi. Oggi la Chiesa proclama il discorso del Signore sull’Ultimo Giudizio. Secondo le parole di questo discorso, al Giudizio seguirà una separazione: da una parte chi ha amato, dall’altra chi non l’ha fatto: “Avevo fame e non mi avete dato da mangiare; avevo sete e non mi avete dato da bere”. Una delle motivazioni più antiche del digiuno è quella che oggi si chiama “beneficenza”. Si digiuna da alcuni cibi, che sono anche più costosi, per usare ciò che si risparmia in favore del nostro prossimo. In questo modo il digiuno della Grande Quaresima diventa anche il modo per mettere in pratica il precetto evangelico dell’amore per il prossimo. Questo è un aspetto del digiuno che è un po’ passato di moda e vale la pena quindi ricordarlo.
Ci ricorda San Paolo che “non sarà certo un alimento ad avvicinarci a Dio; né, se non ne mangiamo, veniamo a mancare di qualche cosa, né mangiandone ne abbiamo un vantaggio.” (1Cor 8, 8) Il senso del digiuno non è dunque nel digiuno in sé. Non ci asteniamo dalla carne e dagli altri alimenti di origine animale perché siamo “animalisti”, e neppure allo scopo di mortificare il corpo. Il digiuno non è utile di per sé, ma è utile (anzi: utilissimo) all’interno di una vita autenticamente cristiana. Un cristiano ortodosso che, potendolo fare, non digiuna non è affatto un cristiano ortodosso; così come non lo è che si limita al digiuno e alle pratiche esteriori tralasciando l’amore per il prossimo e il pentimento.
La Chiesa così ci ricorda, ancora una volta, che non è l’esattezza delle pratiche religiose a fare di noi dei veri cristiani, ma la nostra vita tutta intera. Non si può essere cristiani solo col corpo o solo con l’anima: parafrasando Sant’Agostino, se non diventiamo spirituali anche nel corpo diventeremo carnali anche nell’anima. Molte volte il Signore ci esorta ad essere luce davanti al nostro prossimo: “così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre belle opere, e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5, 16). Questo non significa che dobbiamo ostentare il nostro amore per il prossimo: i salvati chiedono al Signore quando mai lo hanno veduto nudo o affamato; non hanno operato in vista di una ricompensa divina o per essere ben visti dagli altri. Hanno operato per amore e così si sono resi immagine davanti agli uomini di Dio che è Amore, di quel Dio che ha tanto amato il mondo da dare il Figlio Suo Unigenito per la salvezza di tutti. A Lui onore e gloria, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen
(Omelia del 29 Gennaio / 11 Febbraio 2018)