«La donna caduta in molti peccati»

Sul poema di Cassiana

Al Mattutino del Grande Mercoledì, si canta nelle nostre Chiese il poema sulla «donna caduta in molti peccati» che unse i piedi di Gesù.

Il poema, opera della celebre melode Cassiana, fa riferimento all’unzione, compiuta da una donna nei riguardi di Gesù, per come è narrata nei vangeli di Marco e Matteo. L’Evangelista Giovanni specifica che la donna in questione è Maria, sorella di Lazzaro; Luca pone invece questo episodio durante la predicazione in Galilea e non nell’ultima settimana (ma fa forse riferimento a un episodio distinto, come suggerisce più di un commentatore).

Non è importante però quante furono effettivamente queste “unzioni”. Questo poema, come la sua autrice, ha una storia che merita di essere conosciuta.

Veniamo innanzitutto  al testo del poema.

«La donna caduta in molti peccati,
sente la tua divinità, Signore,
e, assunto l’ufficio di mirófora,
ti offre profumo facendo lamento,
prima della tua sepoltura.
Ahimè, dice, per me è notte senza luna,
furore tenebroso d’incontinenza,
amore di peccato!
Accetta le fonti delle mie lacrime,
tu che alle nubi trai l’acqua del mare.
Piegati ai gemiti del mio cuore,
tu che piegasti i cieli nel tuo ineffabile annientamento.
Bacerò i tuoi piedi immacolati,
li asciugherò con i riccioli del mio capo,
quei piedi, di cui Eva a sera udì il suono
dei passi nel Paradiso
e per timore si nascose.
Chi investigherà la moltitudine dei miei peccati
E l’abisso dei tuoi giudizi,
o mio Salvatore, che salvi le anime?
Non disprezzare la tua serva,
tu che possiedi incommensurabile la misericordia!»

Correva l’anno 829, e l’Imperatrice Eufrosine, vedova e reggente al trono dell’Impero Romano d’Oriente, decise che era venuto il tempo per il figliastro Teofilo, allora sedicenne, di prendere moglie. Furono chiamate a corte le fanciulle delle più nobili famiglie e Teofilo, quasi un novello Paride, avrebbe dovuto fare la sua disamina e consegnare alla prescelta una mela d’oro. Il futuro autocrate era però troppo pieno di sé e del suo augusto ruolo, e non volle limitarsi a questo semplice gesto senza aggiungervi qualcosa di suo. Scorta tra le altre una bellissima giovane donna, le porse il frutto e, forse per metterla alla prova o forse per mettere da subito in chiaro i ruoli, accompagnò il gesto con poche, semplici, orrende parole: «Da una donna il peggio». Parole del genere, pronunciate porgendo una mela, per quanto d’oro, erano una allusione chiara al peccato originale e ad Eva.

Cassia, la bella ragazza destinataria del dono e dell’offesa gratuita, non si scompose neppure un po’. Forse (non lo sappiamo con certezza) volse appena lo sguardo verso una icona della Vergine Maria, mentre pronunciava la sua risposta: «e da una donna il meglio». Bella, intelligente e di lingua sciolta. E comunque, mai un rifiuto fu più chiaro di quello di Cassia.
Chissà cosa pensò il giovane Teofilo. Probabilmente ebbe paura di ritrovarsi come moglie una donna che si prendeva una tale libertà, e difatti la mela fu consegnata a un’altra. Forse scornato dalla risposta di Cassia, Teofilo non pensò di mettere alla prova l’intelligenza della sua seconda scelta. In seguito ebbe a pentirsene: Teodora, che ricevette la mela d’oro, fu una fiera oppositrice delle politiche del marito.

Cassia decise qualche tempo dopo di farsi monaca, con il nome di Cassiana. Fondò lei stessa un monastero – era pur sempre di famiglia facoltosa – e lo resse come igumena. In quel monastero si ritirò a scrivere e divenne la più importante melode del suo tempo: scrisse cioè canti sacri di cui spesso componeva anche la musica. Sia Cassiana che Teodora furono accomunate da uno stesso destino e sono considerate sante dalla Chiesa. Due spine nel fianco del povero Teofilo: delle due, Cassiana fu fatta addirittura fustigare, per la sua opposizione all’eresia iconoclasta che l’imperatore aveva abbracciato, e forse anche un po’ per ripicca al suo rifiuto.

Si sa però che l’amore fa brutti scherzi. Teofilo non riuscì mai a dimenticare la bella ragazza che aveva preferito il chiostro al palazzo imperiale. Un giorno decise di volerla rivedere e si recò nel suo monastero. Giunse proprio mentre Cassiana era all’opera sulle parole del suo poema sull’unzione in Betania. Era giunta ai versi «Bacerò i tuoi piedi immacolati, / li asciugherò con i riccioli del mio capo», quando si accorse che l’imperatore era arrivato nel suo monastero. E così decise di nascondersi dietro un pertugio della sua cella.
Teofilo irruppe nella stanza e la trovò vuota, però sentì che Cassiana era là. Si chinò sullo scrittoio e lesse il poema, e anche questa volta volle aggiungere qualcosa di suo a quanto disposto dagli altri: era pur sempre l’autocrate, così sedette e prima di andarsene aggiunse due versi. Una volta uscito l’imperatore, Cassiana lesse i versi che lui aveva aggiunto: «quei piedi, di cui Eva a sera udì il suono / dei passi nel Paradiso / e per timore si nascose.» Probabilmente Cassiana ebbe un brivido: l’imperatore si paragonava addirittura a Dio, e si immaginava a passeggio nell’Eden con Eva/Cassiana nascosta per non farsi vedere. E poi questa fissazione di Eva e della mela e del peccato originale!
Forse – chissà – per un attimo pensò di cancellare quei versi. Decise però di lasciarli lì, perché in fondo erano belli e, qualunque cosa significassero nella testa di Teofilo, erano comunque bene intonati al resto. E poi la poesia non appartiene a chi la scrive.
È probabile che proprio in onore alla melode, e a ricordo di questo poema, San Nicolaij Velimirovich volle chiamare Cassiana la protagonista di un suo noto “romanzo” spirituale: Cassiana, o la dottrina sull’amore cristiano.
Ancora oggi, ogni Mercoledì Santo, i versi della bella Cassiana sono cantati nelle nostre chiese a memoria di colei a cui «molto fu perdonato perché molto amò» (Lc 7, 47).

Suggerisco questa bella esecuzione del canto nella lingua e musica originale: